Tracce “archeologiche” della Battaglia di Sicilia (1943)

È in corso di svolgimento un’indagine di tipo archeologico riguardante le tracce lasciate sul terreno dalla Seconda Guerra Mondiale nell’area gravitante attorno a Centuripe e ai paesi limitrofi. L’acquisizione dei dati è avvenuta tramite ricognizioni archeologiche condotte dall’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali (IBAM) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Con il presente contributo, redatto su richiesta dell’Ing. Giuseppe Biondi –presidente della sede di Centuripe di SiciliAntica–, si intende presentare ad un vasto pubblico di “non addetti ai lavori” una ricerca che, per tema e periodo trattati, è innovativa per l’archeologia italiana. Un primo articolo, introduttivo, sullo stesso argomento, è stato pubblicato nelle pagine on line di una rivista specialistica (http://antiquity.ac.uk/projgall/biondi/index.html).

Le ragioni di un insolito ambito di ricerca archeologica

L’obiettivo delle ricognizioni archeologiche condotte dall’IBAM era originariamente indirizzato all’acquisizione di dati per la ricostruzione delle dinamiche di popolamento del territorio tra la Preistoria e il Medioevo. Durante le escursioni, però, oltre ai materiali antichi, si andava notando una massiccia presenza di resti bellici di vario tipo, soprattutto schegge di bombe. Era possibile rinvenire, fianco a fianco, una punta di freccia in selce di 4.000 anni fa e un proiettile tedesco risalente ultima guerra. Inizialmente, ritrovamenti simili sono stati semplicemente registrati nei diari come curiosità, senza cercare di comprenderne la natura e senza dare loro particolare valore. La loro presenza, però, si andava facendo sempre più rilevante e si capì che gli oggetti bellici rimasti lì dove esplosero o furono abbandonati nel 1943, considerati nel loro insieme, assumevano un significato storico–documentario, perché permettevano di ricostruire singoli episodi della Battaglia di Sicilia: le numerose schegge o le bombe inesplose (segnalate alle autorità competenti e fatte brillare) sono testimonianza degli obiettivi delle artiglierie; i bossoli esplosi di scontri a fuoco ben localizzabili; i contenitori di munizioni d’artiglieria, se rimasti sul posto, delle postazioni dei cannoni (in questo caso un 88 mm flaK); i resti della consumazione di cibi in scatola indicano i luoghi in cui le truppe bivaccarono. Si aggiunga che alcuni dei rinvenimenti, forse perché cronologicamente vicini a noi, provocavano anche un certo coinvolgimento emotivo: sembra di rivedere il soldato britannico che, ad un centinaio di metri dalla postazione di un micidiale mitragliatore tedesco MG 42 (di cui rimaneva sul terreno qualcuno dei bossoli esplosi ), estraeva frettolosamente dal suo fucile e buttava via una cartuccia che aveva fatto cilecca; o il non altrimenti noto “Müller Hugo” che, nascosto in una cavità rocciosa in attesa del nemico o al riparo dal fuoco di sbarramento, incideva il proprio nome nella parete del temporaneo rifugio; o, ancora, i bambini di allora, ora nonni, atterriti dalle esplosioni che hanno lasciato numerose schegge anche in prossimità dell’abitato e i loro segni nelle case. Colpisce anche il tangibile stato di miseria di buona parte della popolazione contadina di allora, costretta ad indossare “scarpe” dalle suole ricavate da pneumatici.

A parte il fatto che in alcuni paesi dell’Europa esiste già da tempo un’”archeologia dei campi di battaglia”, senza rigide limitazioni cronologiche –dai resti dell’armata di Varo in Germania (9 d.C.) a quelli della guerra di Corea–, due sono i motivi, in definitiva, che ci hanno spinto a non trascurare i ritrovamenti del 1943:

1) la possibilità di ricostruire alcuni degli episodi di un evento –l’invasione alleata della Sicilia– che è stato forse quello più importante a cui ha assistito l’Isola nello scorso secolo;

2) un problema di coscienza, nel senso che cercare di ricostruire fatti molto remoti nel tempo e trascurare, invece, quelli che meno di settant’anni addietro coinvolsero traumaticamente persone tuttora in vita sarebbe stato a dir poco offensivo nei loro confronti e, a maggior ragione, sarebbe stato offensivo per la memoria di chi, militare o civile, non sopravvisse a quei giorni.

Dati archeologici e documenti scritti

La ricostruzione dei fatti con metodo archeologico, grazie cioè all’interpretazione delle tracce del passaggio della guerra rimaste sul terreno, va naturalmente integrata con documenti scritti.

Il lavoro finora svolto ha permesso di constatare che i dati desumibili dai due tipi di fonti citate –archeologiche e scritte– confluiscono e si integrano a vicenda. In alcuni casi è stato possibile desumere l’esistenza di postazioni tedesche non citate nei resoconti delle battaglie o, viceversa, di altre, citate, ma di cui non è rimasta traccia visibile in superficie senza l’aiuto del metal-detector, mai usato nella nostra ricerca. In altre località in cui, in base ai bossoli rimasti sul terreno, è stato possibile ipotizzare invece scontri tra truppe dell’Asse e del Commonwealth, i documenti scritti confermano la ricostruzione ipotetica degli eventi e aggiungono particolari sulle modalità e la durata degli scontri e, a volte, anche i nomi dei protagonisti e dei caduti.

La testimonianza di alcuni paracadutisti tedeschi fatti prigionieri dai soldati britannici nei dintorni di Centuripe ci permette di avanzare qualche ipotesi anche sulla presenza del citato Hugo Müller in un anfratto roccioso. Secondo quanto dichiarato dai suddetti prigionieri, pare che alcuni di loro abbiano aspettato, nascosti in grotte, l’avanzata del nemico per poi sparargli alle spalle e creare così scompiglio e confusione e ritardarne l’attacco. Hugo Müller era uno di questi? Probabile. Da una ricerca nella banca dati dei caduti e dispersi tedeschi durante le ultime due guerre (http://www.volksbund.de/) risulta comunque che sopravvisse alla campagna di Sicilia.

Interessanti sono, infine, le osservazioni fatte dall’occhio esperto degli ufficiali britannici sul valore strategico di Centuripe nell’antichità: “La cittadina, quando fu fondata come città-fortezza, prima dell’esistenza dell’artiglieria, doveva essere inespugnabile”. E non fu facile espugnarla neanche nel 1943.

Il quadro storico di riferimento e i primi risultati della ricerca

Gli episodi di cui è rimasta traccia sul terreno esplorato avvennero tra la fine di luglio e i primi giorni dell’agosto del 1943 e s’inquadrano nell’ambito delle operazioni del XXX Corpo dell’VIII Armata britannica volte ad aggirare da ovest la forte resistenza delle truppe dell’Asse nella zona di Catania. Le testimonianze si concentrano lungo il corso del Dittaino, dove correva un tratto della linea difensiva Hube, presieduta da tedeschi ed italiani, e lungo le impervie alture dislocate tra lo stesso fiume e Centuripe.

Non sono mai state rinvenute costruzioni difensive. L’ubicazione delle postazioni e i luoghi degli scontri, disseminati quasi sempre di schegge di bombe, sono indicati, quando l’ambiente non è stato eccessivamente sconvolto dai lavori agricoli, da bossoli britannici (.303 British), tedeschi (9 parabellum e 7,92 Mauser) e, in due soli siti, italiani (6,5×52).

Altrove, rudimentali grate alle finestre furono, invece, ricavate da separatori di bossoli d’artiglieria. Le cassette metalliche delle munizioni d’artiglieria, raccolte e riutilizzate dai contadini, sono concentrate a tal punto nelle fattorie di almeno due zone del territorio, da far pensare che furono svuotate e abbandonate nelle vicinanze durante la battaglia e da far risalire, pertanto, all’ubicazione delle postazioni.

Resti di cassette lignee di munizioni da obice britannico da 3,7 pollici (3.7” Howitzer) si conservavano, invece, in una sola zona del territorio.

In una casa di campagna il proprietario aveva conservato anche altri contenitori, tra cui quelli per sigarette (Wills Gold Flake e Players Navy Cut) , che erano tra i prodotti distribuiti nelle confezioni di razioni collettive da battaglia britanniche (Compo rations).

Qualcun altro, per integrare la copertura del tetto, utilizzò un pannello di alluminio, in cui è riconoscibile parte di un aereo.

Un ignoto contadino, infine, non avrebbe mai potuto immaginare di aver recuperato e di usare per raccogliere la cicoria un tipo di borsa, destinata originariamente a contenere un maschera antigas britannica, che a distanza di circa mezzo secolo dalla guerra sarebbe diventata un articolo “di tendenza” solo perché è la stessa che porta alla spalla Indiana Jones nella nota serie cinematografica (http://www.toddscostumes.com/indy/indiana_jones_bag.htm).

C’è abbastanza, insomma, per ricostruire, anche con qualche pennellata di colore, una volta approfondito lo studio, percorsi di truppe, modalità e scenari dei combattimenti. Non è escluso, inoltre, che in futuro, come avviene già in altri paesi europei, si avvii una ricerca programmata che preveda lo scavo dei campi di battaglia per recuperare tutte le tracce rimaste nel terreno e non solo quelle visibili in superficie. Un tale programma, naturalmente, avrebbe modalità di svolgimento diverse rispetto a quelle adottate negli scavi archeologici “tradizionali” e prevedrebbe, innanzitutto, il coinvolgimento di organi del Ministero della Difesa.

Per il momento, le memorie della guerra sono custodite, spesso assieme a quelle di remota antichità, dalla terra e da una buona schiera di privati cittadini in veste di sorveglianti.

Nota

Giacomo Biondi

Consiglio Nazionale delle Ricerche

Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali – Sede di Catania

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