Giuseppe Brex, l’ultima voce della Saturnia Tellus?

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GIUSEPPE BREX, L’ULTIMA VOCE DALLA SATURNIA TELLUS ?
di Paolo Galiano © – www.simmetria.org

NOTA: la biografia di Giuseppe Brex che qui presentiamo ha in certi tratti un carattere molto “intimistico” e “mondano” e poco “tradizionale”, ma, considerato che si tratta di un personaggio praticamente ignoto ai lettori interessati agli sviluppi della Tradizione romana, riteniamo che anche particolari in apparenza insignificanti debbano essere riportati, costituendo questa biografia il potenziale inizio per una ricerca più approfondita sulla vita e sulle opere di Brex.

Brex¹  si distingue dagli scrittori della storia e della metastoria della Saturnia Tellus che lo hanno preceduto per due motivi: il suo libro, Saturnia Tellus² (Roma 1944), ha come argomento centrale l’antichità del popolo dei Siculi³ , del quale egli rivendica la precedenza sulle altre popolazioni italiche quale prima stirpe abitante dell’Italia dal periodo dell’Età del Bronzo, riprendendo un tema che avevano esposto prima di lui Cuoco e poi Micali nella prima metà dell’800, e forse non a caso il libro venne pubblicato a Roma nel maggio 1944, quando gli Anglo-Americani erano in procinto di sbarcare nella sua Sicilia nativa (luglio 1944), quasi volesse rivendicare contro le nuove etnie anglosassoni la supremazia storica dei siciliani; altro aspetto da rilevare è l’essere il suo un testo prettamente storico ed archeologico, che nessuno spazio lascia a quelle idee misteriosofiche, le quali invece costituiscono il nucleo centrale delle opere dei suoi contemporanei, da Leonardi a Di Nardo e Cattoi.
Ciò non toglie che Brex possa avere avuto un qualche ruolo nell’ambiente dell’esoterismo romano, nel quale doveva essere conosciuto visto che l’Introduzione al suo libro la scrisse Romolo Artioli, esoterista e archeologo, collaboratore di Boni negli scavi del Foro e del Palatino.

Brex nacque a Centùripe (Enna) il 29 Luglio 1896 ma visse a Roma dal 1919, dopo il rientro dal fronte francese, fino alla sua morte il 21 Gennaio 1972; venne sepolto a Lanuvio, la città di cui aveva riportato in vita l’antica fratellanza con il suo paese natale, testimoniata dal ritrovamento nel 1963 a Centùripe di un’epigrafe scritta in dialetto dorico che descriveva il patto di alleanza tra Lanuvio e Centùripe in quanto genti della stessa stirpe latina .

¹ Su Brex e sugli scrittori della Saturnia Tellus, da Giambattista Vico a Costantino Cattoi, abbiamo scritto più approfonditamente in GALIANO Roma prima di Roma, metastoria della Tradizione italica, Simmetria, Roma 2011.

² Con il termine “Saturnia Tellus” si indica una corrente di pensiero storico e metastorico che afferma la precedenza storica della civiltà degli antichi popoli italici rispetto a quelle del bacino del Mediterraneo, civiltà a cui questi scrittori dettero il nome di Saturnia Tellus o Terra di Saturno, rifacendosi alla mitica Età dell’Oro di Saturno, di cui gli scrittori classici, sia latini che greci, avevano parlato nelle loro opere.

³ La tesi delle origini latine dei Siculi esposta nel libro di Brex sarà ripresa più tardi da DI NARDO nel n° 28 del 1953 della Biblioteca dei curiosi, antologia di letture interessanti (ed. Ruiz, Roma) con il titolo I più antichi popoli italici secondo gli storici classici.

Gli anni della Prima Guerra Mondiale
Dei suoi primi anni di vita sappiamo ben poco, soltanto che lavorava con il padre nell’officina e nel cinema di loro proprietà nel piccolo paese siciliano dove a quel tempo viveva. Abbiamo invece potuto ricostruire la sua vita militare e, soprattutto, le sue attività storico-letterarie dopo la guerra grazie al Fondo Brex, raccolta pur troppo parziale dei documenti privati e dei suoi scritti che ci è stata messa a disposizione dalla figlia Graziella e dalla nipote Paola.
Nella I Guerra Mondiale Brex, classe 1896, fu arruolato nel 75° Fanteria 8a Compagnia di Siracusa dal 5 Novembre 1915 al 30 Dicembre e poi dal 20 Novembre del 1917, venne trasferito al 4° Fanteria di Catania il 24 Gennaio 1918 per poi entrare il 21 Aprile nel corpo delle T. A. I. F. (le Truppe Ausiliarie Italiane in Francia dirette da un Ispettore Generale, prima il generale Giuseppe Tarditi e da Ottobre il generale Marchese Boyl di Putifigari, dipendenti dal II Corpo d’Armata comandato dal generale Alberico Albricci), a cui fu aggregato come caporale (un altro caporale della I Guerra Mondiale…) presso il I Raggruppamento (comandante Giuseppe Chenial), 15° Nucleo (comandante Carlo Pericoli), Compagnia 147a (comandante Ugo Garibaldi). Brex venne trasferito al fronte francese dal 1 Giugno 1918 al 31 Novembre dello stesso anno, quando iniziò il rimpatrio delle truppe ausiliarie.
Per essere aggregato alle T. A. I. F. Brex, il quale evidentemente doveva essere stato giudicato inabile al servizio al fronte per motivi che non conosciamo, domandò al sindaco di Centùripe un attestato dichiarante che “era addetto alla conduttura di un motore a scoppio 6 cavalli sistema Waterloo di proprietà del di lui padre e compagno esercenti il cinema di questa comunità” : questo perché le T. A. I. F. erano composte non solo di soldati inabili al servizio militare di trincea ma anche da soggetti poco affidabili, molti dei quali infatti vennero successivamente rimpatriati dalla Francia mentre altri, con precedenti penali o di cattiva condotta, vennero isolati e riuniti in una “Compagnia speciale” sotto lo stretto controllo dei Carabinieri in servizio presso le T. A. I. F. (pag. 250). Caracciolo scrive a questo proposito che i depositi inviarono anche “elementi fisicamente e moralmente tarati” (pag. 236), visto che non si trattava di uomini destinati al combattimento, ma a questo pose rimedio il primo Ispettore, generale Giuseppe Tarditi, che provvide ad una selezione, rinviando in Italia in breve tempo 5200 uomini sui 60.000 giunti in Francia.
Il I Raggruppamento aveva ufficialmente sede a Châlons-sur-Marne ma in realtà i lavori di cui erano incaricate portavano le Compagnie delle T. A. I. F. in posti sempre diversi, fatto che spesso suscitava lamentele tra i soldati, come anche il cibo che ricevevano, provvisto dai comandi francesi. L’apertura di spacci alimentari che integravano le razioni determinarono il miglioramento della vita delle truppe, come anche l’istituzione di “conferenze morali” tenute dagli ufficiali superiori e dai cappellani (pag. 239), che servirono a ridare entusiasmo a individui che si sentivano menomati non solo fisicamente dal tipo di lavoro che svolgevano. Queste “conferenze”, a quanto riferisce Caracciolo, contribuirono a rafforzare lo spirito di corpo e “i nostri uomini divennero subito ricercatissimi da tutti i comandi” (pag. 243).
Gli attacchi tedeschi sul fronte francese tra il Marzo e il Luglio 1918 portarono le T. A. I. F. sotto il fuoco nemico con perdite di uomini, morti o fatti prigionieri, e si pensò, anche a seguito delle perdite subìte dal II Corpo d’Armata, di scegliere tra gli ausiliari gli uomini in migliori condizioni fisiche per addestrarli alle armi: il generale Tarditi fece selezionare truppe adatte ad essere armate ma in un primo momento il Miniestero della Guerra italiano si oppose, ritenendo che fosse sufficiente il contributo militare dato con le due Divisioni del II Corpo d’Armata (pag. 244), per poi acconsentire dal mese di Giugno all’invio di uomini abili, che già avevano combattuto sul fronte italiano orientale, come appoggio al II Corpo, per un totale di circa 6.000 tra ufficiali e soldati (pag. 252).
Dal 13 Gennaio 1919 iniziò il rientro in Italia degli ausiliari delle T. A. I. F. e Brex fu tra i primi, considerato che il I Raggruppamento venne rimpatriato tra il 13 e il 21 Gennaio, ma fu solo il 16 Giugno che egli venne definitivamente smobilitato.

Una lettera di Brex dal fronte
Del suo periodo di permanenza in Francia ci rimane una lettera inviata dal fronte francese alla Madre in data 18 Settembre 1918: il luogo in cui si trovava a quel tempo non lo sappiamo in quanto risulta cancellato dalla censura militare. Poiché quest’anno ricorre il Centenario della I Guerra Mondiale, riteniamo giusto riportare alcuni passi di questa lettera: le condizioni di vita, la preoccupazione per la famiglia lontana ma anche il non voluto umorismo di Brex fanno di questo suo piccolo scritto un’interessante testimonianza dei sentimenti di un siciliano portato dalle vicende al fronte di guerra in una nazione così lontana e diversa dalla sua patria d’origine.
Le preoccupazioni sono molteplici: per la licenza, che è un problema perché “per la licenza non posso fare niente, anzi se dirò qualcosa al Capitano è peggio perché non vuole detto niente. Quando mi sarà concessa lo saprò un tre giorni prima”, ma soprattutto per la salute dei familiari, che lo faceva angustiare, in quanto “Ti debbo dire che sto con pensiero, avendo saputo da certi soldati della provincia di Caltanissetta che corre un male (detto febbre Spagnola) che è assai mortale. In ciò ti prego di informarmi subito se esiste anche a Centùripe questo cattivo male”. Ci sono anche problemi, forse familiari, di cui ignoriamo la causa: “Aspetto con tanta attesa una tua risposta informandomi di quell’affaraccio, come pure del cinema e dell’officina”.
Ci sono poi i guai giornalieri causati dalla situazione del fronte in Francia: “In quanto alla mia vita, la passo bene. La passavo un po’ male un mese addietro, perché stavamo a *** [cancellato] della prima linea a scaricare proiettili. Ma ora qui si sta proprio bene, ci troviamo a *** [cancellato] perciò nessun pericolo. Qui facciamo baracche per proiettili… Abbiamo comodità di dormire e di lavarci le mutante [sic] ed è una buonissima cosa per il soldato. Invece al contrario di prima, lì ci siamo stati circa un mese e mutande le abbiamo tenute per un mese, e figurati quella razza… come aumentava”. I pidocchi erano una delle grandi afflizioni personali dei soldati in prima linea, e a peggiorare la situazione nel caso di Brex era la “multinazionalità” dei pidocchi: “Lì era stato terreno di aspre battaglie. Ci erano stati: italiani, francesi, inglesi. Americani, tedeschi e truppe coloniali francesi, cioè arabi, senegalesi e cinesi [sic]. Perciò pidocchi ce ne siamo presi di tutti i colori! Non tutti le même (medesimi) ma diversi, e poi si capisce, con tutte quelle razze che erano state!”. E la cosa non gli crea vergogna, perché “bisogna raccontarla pure noialtri qualche cosa dopo la guerra!…”.

Brex a Roma
Tornato alla vita civile, Brex si trasferì a Roma dove trovò lavoro, forte della sua esperienza con il cinema di famiglia, tra il 1919 e il 1964, anno del pensionamento, prima come aiuto Operatore di presa alla Tespi Film, una delle prime case cinematografiche italiane fondata nel 1915, poi come Capo Magazziniere e aiuto Addetto Stampa alla Fox Film Corporation (che in seguito diventerà la Twentieth Century Fox) e alla Lux Film in qualità di vice Economo, infine alla Technicolor Italiana nell’Ufficio Ricezione e Consegne.
Il suo lavoro nella Fox Corporation, tra il 1925 e il 1940, lo porta a stringere amicizia con Louis Loeffler, uno dei più importanti tecnici del montaggio cinematografico della Fox vissuto alcuni anni a Roma, noto soprattutto per il suo lavoro nel film Il grande sentiero, il primo colossal western girato nel 1931, a cui parteciparono attori sia americani (tra cui John Wayne) che italiani, film considerato il più grande avvenimento cinematografico dell’anno. In una lettera inviata a Brex da Hollywood il 31 Agosto 1934, Loeffler lo ringrazia per la cortesia dimostratagli nei giorni passati a Roma e invia “un gentile pensiero alla sua signora e un bacio alla bambina”, la prima delle due figlie che Brex ebbe dalla moglie Igina, Livia e Graziella.
Altri personaggi del mondo cinematografico ebbero rapporti con Brex, tra cui l’attore Giovanni Di Benedetto, che lo ringraziò per l’invio di una copia de Il dramma degli antichi Italici – I Latini con una lettera autografa del Dicembre 1971 e che aveva preso parte alle visite culturali organizzate dall’associazione di Brex, ma una più stretta amicizia lo legò ad Angelo Cesselon, autore di famosi manifesti pubblicitari di film, il quale nel Luglio 1961 gli inviò come regalo un disegno “che spero gradirai come un gesto affettuoso dall’amico di sempre” . Cesselon, nativo di una cittadina presso Venezia e poi trasferitosi a Roma, morì nel 1992 a Velletri, dove si era ritirato dal 1975, tre anni dopo la scomparsa nel Gennaio 1972 di Brex.

Il Brex storico e archeologo
L’attività a cui Brex si dedicò con tutta la sua passione fu la storia dell’antichità romana e italica: già a Centùripe aveva partecipato agli scavi dell’archeologo Paolo Orsi e l’amore per la sua città natale lo spinse, quando venne a Roma, a farsi propugnatore in qualità di “cittadino di Centùripe più anziano residente nella Città Eterna e attualmente socio nella benemerita ‘Unione Storia ed Arte’” della richiesta di intitolare una via di Roma a Centùripe : la richiesta fu accolta e il nome della cittadina venne dato alla via che unisce via Macedonia e via Lidia nel quartiere Appio Latino, a breve distanza dalla casa sull’Appia Nuova in cui Brex abitava fin dal primo dopoguerra.via centuripe
Venuto a Roma nel 1919 prese parte alle attività delle principali associazioni di storia ed archeologia del suo tempo, e fu socio in particolare dell’Unione Storia ed Arte fondata da Romolo Artioli, come si desume dallo scritto sopra citato.
Tra l’Unione Storia ed Arte e l’Associazione culturale Aborigeni d’Italia, fondata da Brex nel 1951, intercorsero legami di collaborazione, come attesta la manifestazione culturale al Teatro romano del Tuscolo nell’Estate 1956, organizzata congiuntamente a nome di Brex e di Artioli. Il legame tra Brex ed Artioli non fu però di semplice conoscenza, considerato che quest’ultimo fu autore dell’introduzione al libro Saturnia Tellus di Brex: è quindi lecito supporre che fra i due vi fosssero anche rapporti di altra natura al di là degli interessi archeologici.
Soffermiamoci brevemente a ricordare la figura di Artioli (1879-1958) : Nispi-Landi, discepolo di Ravioli e il primo tra gli scrittori della Saturnia Tellus ad affermare con autorevolezza il ruolo di Roma come centro originario della “prisca sapienza italica”, fondò il 21 Aprile 1902 l’Associazione Archeologica Romana (che aveva come impresa un’aquila romana), a cui parteciparono i più noti archeologi del tempo tra coloro che avevano condotto scavi a Roma, come Rodolfo Lanciani, Giacomo Boni (lo scopritore del Lapis Niger e di altri luoghi fondamentali della Roma arcaica), Romolo Artioli, che di Boni era collaboratore, e dal 1907 Pietro Bornia (pag. 98 e pagg. 201-202), collaboratore di Kremmerz e affiliato alla Miriam, poi Presidente dell’Accademia Vergiliana kremmerziana di Roma fondata ufficialmente nel Maggio 1911, la quale aveva come sigillo un aratro (pag. 98), lo stesso soggetto che figura nell’intestazione dell’Associazione Aborigeni d’Italia fondata da Brex. Nel 1907 l’Associazione Archeologica Romana si divise e passò sotto la direzione di Filippo Tambroni, mentre i soci anziani, prevalentemente interessati all’aspetto esoterico della storia e dei monumenti di Roma, ne uscirono: Bornia per dedicarsi esclusivamente ai suoi studi esoterici e Artioli per fondare l’Unione Storia ed Arte, società non di soli studi archeologici a cui si associarono numerosi esponenti del mondo esoterico romano di provenienza kremmerziana, tra cui nel 1910 Camilla Mongenet (pag. 208), anch’essa dell’Accademia Vergiliana e probabilmente legata da interessi più che culturali ad Evelino Leonardi, l’autore della Origine dell’uomo, libro pubblicato nel 1937 che Brex molto probabilmente conosceva, visto che riprese nel suo Saturnia Tellus un’illustrazione del libro di Leonardi, la cartina dell’Italia “a forma di quercia”, basata su di un’erronea interpretazione di un passo di Plinio .
Una catena di legami, di conoscenze, di frequentazioni in apparenza occasionali ma forse più importanti di quanto si pensi legava a quel tempo esponenti dell’archeologia e dell’esoterismo romano e sembra che Brex ne fosse stato in qualche modo coinvolto, non per motivi politici, perché nei suoi scritti postbellici ripete più volte la sua avversione verso il Fascismo ed i suoi rappresentanti , ma per ragioni di studio e forse, e questo non possiamo affermarlo con certezza, anche di altra natura.

L’Associazione Aborigeni d’Italia
Il 21 Aprile del 1951 Brex fondò con alcuni conoscenti ed amici l’Associazione culturale Aborigeni d’Italia per la divulgazione della storia della civiltà italica, con sede provvisoria (che poi divenne definitiva) presso il suo stesso domicilio in via Appia Nuova 30. L’attività dell’Associazione proseguì anche dopo la sua morte nel 1972 grazie all’opera del centuripino Rosario Di Luca, che ne mantenne in esistenza le attività fino alla sua morte; anch’egli fu sepolto come Brex nel cimitero di Lanuvio, come ringraziamento dei lanuvini per aver contribuito alla ricostruzione dei rapporti tra le due cittadine. Il nome dato all’Associazione fu criticato fin dalle sue origini come “antiromano” e Brex ne dovette difendere e spiegare il significato sul primo bollettino del Maggio 1951: “Volemmo imporre il nome di ABORIGENI D’ITALIA mai sospettando che tal vetusto nome fosse giudicato da qualcuno vuoto di significato e si urtasse al punto di negare alla nostra Associazione ogni spirito di romanità” . Tra i molti associati ricordiamo il nome di Vincenzo Misserville (Palestrina 1902 – Roma 1976), fondatore nel 1956 della rivista Castelli Romani, ancor oggi esistente, e del poeta romanesco Giulio Cesare Santini (Roma 1880-1956), che era già da tempo amico di Brex, come testimonia un suo sonetto scritto nel 1943 in ricordo di un pranzo di Capodanno a cui aveva preso parte a casa del suo amico con la moglie Igina e le due figlie Graziella e Livia.
Le attività dell’Associazione erano basate su viaggi culturali, intesi a far conoscere ai soci le bellezze paesaggistiche e soprattutto i contenuti storici ed archeologici dell’Italia, sia nei paesi vicini a Roma che in Toscana, in Abruzzo e in Sicilia, viaggi di cui rimane una ricca documentazione fotografica. Il recupero della poesia dialettale romanesca di Trilussa e del Belli fu oggetto di una “tornata poetica” nel 1969, insieme ad esponenti delle associazioni Te Roma sequor e Associazione tra i romani, allo scopo di promuovere la tumulazione dei due grandi poeti nella chiesa di san Bartolomeo all’Isola Tiberina. Non meno importante la campagna con cui l’Associazione cercò di impedire la cementizzazione dell’Appia Antica che negli anni ’50 stava per devastare l’antica via, protesta che “altre Associazioni culturali ben più autorevoli avrebbero dovuto elevare”, come scrisse Brex sul numero speciale del bollettino associativo. Il progetto venne, almeno per allora, accantonato e con un telegramma del 30 Gennaio 1956 , indirizzato all’allora Ministro della Pubblica Istruzione Ermini, Brex e i consiglieri dell’Associazione si congratularono per la “proposta commissione ministeriale esproprio terreni per salvare la più suggestiva via del mondo”.
L’Appia Antica era una delle mète preferite dei neo-Aborigeni, i quali spesso si fermavano al ristorante “Cecilia Metella” per i loro conviti: nel giardino del ristorante, un tempo “antica osteria campestre”, eressero nel 1969 una stele a ricordo degli “insigni studiosi che qui amavano sostare dopo avere illustrato ai cittadini le vicende storiche dell’Appia Antica”.
La gran parte dei costi di gestione dell’Associazione e delle sue attività di stampa ricadevano però sul povero Brex, non ostante i contributi associativi e le donazioni volontarie dei soci: questo lo costrinse a chiedere un aiuto economico all’onorevole Romani per poter saldare il debito contratto con la tipografia. La lettera, a cui purtroppo manca la data, trovò forse risposta in una comunicazione della Direzione Generale della Proprietà letteraria ed artistica della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 10 Agosto 1969, con la quale si comunicava a Brex lo stanziamento in suo favore di un “premio alla cultura” di 300.000 lire (di allora) .

Le opere di Brex: “Saturnia Tellus” e “Il dramma degli antichi Italici”
A ciò di cui abbiamo già detto altrove a proposito del testo di Brex Saturnia Tellus (Terra dei Siculi) qui vogliamo solo aggiungere due documenti che abbiamo trovato nel Fondo Brex.
Il primo è un dattiloscritto intitolato “Ai lettori della II edizione”: forse Brex pensava di fare una ristampa del suo libro, visto che il dattiloscritto è datato al Settembre 1944 e la stampa della Saturnia Tellus risale al Maggio dello stesso anno, ma non ci risulta, al momento, l’esistenza di questa riedizione.
Il secondo è una copia di una lettera del 7 Agosto 1944 del Maresciallo Badoglio a Brex, seguente l’invio in omaggio del libro, nella quale Badoglio, il quale probabilmente era stato colpito da quanto scritto nell’introduzione contro il separatismo siculo che allora si faceva sentire, sottolineò a Brex che “se vi è un movimento separatista in Sicilia, esso è opera di pochi e veri delinquenti che nella gravissima sciagura che ci ha colpiti cercano con ogni mezzo anche loro di farsi una posizione. Ma l’insieme della bella isola e della sua industre popolazione sà [sic] di essere parte integrante d’Italia” .
Il libro, come abbiamo già rilevato altrove, è sicuramente interessante da un punto di vista archeologico e antropologico, con richiami frequenti all’opera di Giuseppe Sergi, grande antropologo e ideatore del sistema antropometrico basato sulla misurazione del cranio, al punto che vi è stato chi ha ritenuto che il libro di Brex fosse in realtà un manoscritto inedito dello stesso Sergi pubblicato postumo sotto falso nome, visto che questi morì nel 1936, otto anni prima della pubblicazione di Saturnia Tellus: ci sembra però che tutta l’attività svolta da Brex smentisca tale affermazione. Nel testo è difficile individuare sia pure semplici accenni ad un significato metastorico dell’argomento, come invece troviamo (anzi, a volte in eccesso) nei suoi contemporanei, i quali troppo spesso hanno dato interpretazioni che poco si confanno ad una linea veramente tradizionale.
Quanto detto vale anche per il secondo testo pubblicato da Brex, Il dramma degli antichi Italici – i Latini (Edizioni storiche, Roma 1964), opera in 5 atti con una minuziosa descrizione del contenuto e dei significati storici delle singole scene. La linea conduttrice del dramma, secondo la Prefazione dell’Autore, inizia con la guerra per la conquista del sito di Roma tra i Sikeli, popolazione dell’Età del Bronzo di origine neolitica e stanziata sul posto dalle sue origini, e gli Umbri, giovane tribù dell’Età del Ferro, che porta alla fusione delle due genti da cui si origina la popolazione dei Latini; una parte dei Sikeli capitanata da Siculo, non accettando questa unione, preferisce imbarcarsi alla foce del Numico ed emigrare in Sicilia dove i nuovi arrivati, dopo uno scontro con una schiera di Dori condotta da Tideo, si uniscono alle genti della Trinacria condotte da Eurialo con cui si spartiscono pacificamente il territorio.
Tutto l’intreccio si basa, scrive Brex nella Prefazione, su “quelle notizie della primitiva storia d’Italia tramandateci da antichi scrittori… Ci sono stati di valido aiuto gli studi antropologici di Giuseppe Sergi per fissare i periodi ai quali si legano i riti funerari di ‘inumazione’ e ‘incinerazione’. Il primo da attribuirsi ai Siculi, il secondo agli Umbri”. A queste fonti si vanno ad aggiungere “i varii ritrovamenti archeologici venuti alla luce in questi ultimi anni”.
La figura di Giuseppe Sergi (Messina 1841 – Roma 1936) richiede una breve presentazione, visto che il suo nome ricorre più volte nelle opere di Brex. Antropologo e psicologo tra i maggiori della fine dell’800 – inizio ‘900, Sergi ebbe un ruolo importante nella fondazione di una “storia antropologica” dell’Italia che ne definisse la posizione ed il ruolo nell’àmbito delle nazioni europee; all’imperante strapotere dei germanisti, i quali avevano creato il “mito ariano” o “indogermanico” su basi archeologiche e antropologiche, egli oppose il “mito mediterraneo”, basandosi sullo stesso genere di prove ma raffinando la ricerca antropologica non più sull’antropometria ma sull’analisi morfologica del cranio, sistema in seguito molto seguito in Italia e in tutta Europa. Questo nuovo metodo gli consentì di distinguere nella popolazione italiana due differenti razze, l’una brachicefala presente nel Nord, derivata dalla commistione degli autoctoni con i brachicefali del nordest europeo, cioè gli “ariani” dei germanisti, e l’altra dolicocefala tipica del Sud e rimasta più pura rispetto alla precedente. Fino ad allora, scrive la Pizzato, “gli studiosi italiani avevano cercato di fondere la tradizione romana con l’ideale ariano. Sergi al contrario si oppose ad ogni ipotesi che avvicinasse tra loro la civiltà romana ed ariana”: i dolicocefali del Sud Italia costituivano quella “razza mediterranea” da identificare con gli Italici puri e quindi con i primi abitatori della penisola.
A questa linea di pensiero si rifece Brex, ed essendo siciliano di origine (come lo era Sergi, nato a Messina), innalzò i Sikeli a primi abitatori dell’Italia, ma doveva inserire nella sua visione storica il mito di Roma, non tanto come omaggio al pensiero fascista allora ovviamente dominante (al quale per altro si dichiarò contrario nei suoi scritti postbellici) ma, come osserva la Pizzato, in quanto “il mito della romanità rappresenta un elemento di lungo periodo nella cultura patriottica italiana manifestatosi appieno nell’esperienza fascista [e] trasmesso senza soluzione di continuità dalla cultura risorgimentale a quella propriamente nazionalista”.
A differenza di Leonardi e di Di Nardo, che ponevano l’origine della prima civiltà italica nella regione del Monte Circeo (in ciò probabilmente influenzati dal pensiero dei kremmerziani a cui erano collegati), Brex rimase sulla via segnata da Ravioli ma soprattutto da Nispi-Landi, additando in Roma, sorta dalla fusione dei Sikeli e degli Umbri sui “colli fatali”, la “Madre della Patria”: “Quando una fresca brezza odorante di pini e di lauri del Palatino ci sfiora la fronte, inchiniamoci reverenti: è la Dèa Roma che passa, l’eterna Roma, madre possente e vivificatrice della nostra patria” .

Conclusioni
L’opera di Brex costituisce probabilmente l’ultima voce che tramanda il mito della Saturnia Tellus ai nostri giorni, mito divenuto con lui storico e archeologico e non più spirituale ed esoterico come lo si intravede negli scritti di altri autori dal Settecento al Novecento, per lo meno fino a Nispi-Landi e a Cattoi (se sue sono le parole messe per iscritto da Rangoni, prima della deviazione di Cattoi verso il paranormale nei suoi scritti postbellici).
Sembra che il limite di questa posizione, diremo “parziale”, di Brex fosse stata compresa da Di Nardo, il quale gli inviò una cartolina postale datata 6 Luglio 1946 dopo aver letto il libro, che si conclude con “Saluti al caro Romolo e agli amici [?] della S. e A.”: se questi fosse da identificare con Romolo Artioli, fondatore dell’Associazione Storia e Arte, ciò proverebbe l’esistenza di un rapporto di Brex con gli ambienti tradizionali romani più esteso di quanto si pensasse.
L’autore (non intimo di Brex visto che gli si rivolge con il “lei”) si complimenta per “la sua opera meritoria” che “ripresenta il problema delle origini di Roma sotto l’aspetto che fu caro al Sergi”, ma che il cui impianto è ormai “superato dalle ultime scoperte paleologiche”. Dopo un accenno all’opera di Pericle Ducati Come nacque Roma (pubblicata da Cremonese nel 1939), autore “con il quale fui in attiva corrispondenza… e ha fatto sue molte delle mie indagini”, consiglia a Brex di rivedere le sue conoscenze approfondendole sui reperti della “paletnologia laziale sia al Museo Pigorini sia attraverso il Bullettino Preistoria… consultabile nella nuova serie dal 1936 in poi” ma conclude con un singolare post scriptum: “P.S. Tenga presente che i documenti migliori per sondare le origini dei popoli sono le sue tradizioni religiose e le misteriosofie [sottolineato nel testo], anche i monumenti funerari e i testi sacri”. Un chiaro invito a Brex ad andare oltre la sua, sia pur meritevole, interpretazione storiografica per indagare ciò che è al di là e al di sopra della dimensione meramente umana e cercare nello spirito di quegli uomini antichi le vere cause del loro agire.

 Articolo originale in PDF – GALIANO – GIUSEPPE BREX E LA SATURNIA 27 06 15