Monte Ficarazza e il recupero delle più antiche memorie di Centuripe

Monte Ficarazza (Fig. 1) chiude, ad occidente, la catena montuosa alla cui estremità orientale sorge Centuripe. Esplorazioni di superficie, condotte nel 1991, hanno permesso di stabilire che il colle fu colonizzato durante l’Eneolitico tardo (2400-2200 a.C.) e occupato da almeno tre villaggi (ancora non esistevano le città) durante la successiva fase della preistoria, quella del Bronzo antico (2200-1400 a.C.). In base alle stesse indagini, sembrerebbe che tra il XIII e il IX secolo a.C. la zona sia rimasta del tutto disabitata fino a quando, verso l’VIII/VII secolo a.C., fu nuovamente colonizzata da popolazioni indigene, i siculi, che occuparono contemporaneamente anche altri colli vicini.

Molto probabilmente la presenza dei nuovi colonizzatori è connessa con l’arrivo dei coloni greci che fondarono Catania, Naxos e Lentini sulla costa orientale della Sicilia, proprio verso la fine dell’VIII secolo a.C. Alcuni gruppi di siculi prima sparsi per il territorio, per premunirsi, dovettero infatti arroccarsi nella zona meglio difendibile lungo il percorso tra Catania ed Enna, la catena di colline, alla cui estremità orientale da lì a poco sarebbe sorta Centuripe. Questi stessi gruppi, come testimonia la dislocazione delle necropoli attorno al moderno centro abitato, verso il VII/VI secolo a.C., si aggregarono e fondarono la nuova città, dove la vita continuò ininterrotta fino alla distruzione del XIII secolo d.C. A Monte Ficarazza, invece, la presenza umana è ben documentata fino al I secolo a.C., successivamente è attestata sempre più sporadicamente.

Vaste zone di Monte Ficarazza, nel 1991, erano state saccheggiate da scavatori clandestini, che avevano depredato almeno tre necropoli del IV-I secolo a.C. e che, nella parte più elevata del colle, avevano addirittura sbancato il terreno con una ruspa. Sulla cima vera e propria, però, avevano proceduto con il piccone e, avendo trovato resti di strutture abitative e materiali preistorici di scarso valore “commerciale”, non avevano sconvolto del tutto il terreno.

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Si rendeva pertanto necessario esaminare e documentare i pochi resti scavati e non totalmente distrutti, in modo da datarli e comprenderne la destinazione. Per recuperare, cioè, non oggetti di pregio, ormai asportati dagli scavatori clandestini, ma per ricostruire da frammenti ceramici e dagli spezzoni di muri rimasti i pochi dati storici ancora desumibili prima che l’azione obliteratrice del tempo li cancellasse per sempre.

Tale obiettivo è stato pienamente conseguito grazie al lavoro sul campo dei soci di SiciliAntica (Figg. 2 e 3), che sono stati, dato di non secondaria importanza, i primi abitanti di Centuripe a scavare per l’interesse della collettività e non per trarre dallo scavo guadagni illeciti.

In un punto della cima i clandestini avevano scavato qualche buca e avevano abbandonato un centinaio di frammenti di vasi dell’Età del Bronzo antico, da alcuni dei quali era stato possibile ricostruire, nel 1991, quasi per intero due vasi (Figg. 4 e 5) ora esposti nel Museo Civico di Centuripe. A distanza di quasi vent’anni, dietro autorizzazione della Soprintendenza BB.CC.AA. di Enna e dei proprietari dei terreni, si sono riaperte le buche lasciate dai clandestini e sono stati recuperati, così, un altro centinaio di frammenti preistorici, alcuni dei quali sono riprodotti a Fig. 6. Nei pressi, lo svuotamento di un anfratto (Fig. 7), che era stato parzialmente scavato, ha permesso un’importantissima scoperta: la rientranza rocciosa, apparentemente naturale, si è rivelata infatti una tomba risalente all’Età del Bronzo antico (Fig. 8), la più antica documentata nella zona immediatamente circostante Centuripe. Essa, purtroppo, era già stata saccheggiata nell’antichità e, pertanto, non ha restituito che pochi frammenti di vasi (Fig. 9), i quali, una volta restaurati, saranno esposti nelle vetrine del Museo Archeologico di Centuripe. Altri due anfratti, invece, si sono rivelati naturali (Figg. 10 e 11).

Altre operazioni di pulitura dei “saggi” dei clandestini in altre zone del colle hanno permesso di datare al IV-I secolo a.C. resti di varie abitazioni sparse sulla cima (Figg. 12-16) e di identificare le fondazioni di un edificio probabilmente non abitativo (Figg. 17 e 18).

Giacomo Biondi